
Trapianto batteri intestinali vince il Clostridium difficile
Lo studio
La ricerca, condotta dagli scienziati della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli Irccs di Roma, sul trapianto di batteri intestinali rappresenta una svolta per la pratica clinica ospedaliera. Grazie a questo intervento, infatti, sarà possibile dimezzare i giorni di degenza nei pazienti ricoverati per Clostridium difficile e aumentarne le possibilità di sopravvivenza nel tempo.
Lo studio ha coinvolto 290 pazienti ricoverati per infezione da C. difficile, di cui 181 trattati con antibiotici e 109 con il trapianto di microbiota (il mix di batteri intestinali). Tutti curati presso il Gemelli, con tre risultati principali:
- i pazienti trattati con FMT hanno avuto un rischio di sepsi circa 4 volte inferiore rispetto a quelli trattati con antibiotici (5% vs 22% dei pazienti)
- la degenza media dei pazienti trattati con FMT è stata meno della metà (13 giorni vs 30 giorni) rispetto agli altri
- i pazienti trattati con FMT hanno un tasso di sopravvivenza complessiva di circa un terzo maggiore rispetto ai pazienti trattati con antibiotici (92% vs 61%).
“Il risultato dello studio – pubblicato sugli Annals of Internal Medicine – attesta in via definitiva l’efficacia del trapianto di microbiota intestinale (Fmt) da donatori sani, contro un’infezione spesso difficilissima e pericolosa, come quella da Clostridium difficile”, spiega Antonio Gasbarrini, Direttore dell’Area Medicina Interna, Gastroenterologia e Oncologia medica della Fondazione, che ha coordinato il lavoro.
Cos’è il Clostridium difficile
Viene chiamato così il batterio responsabile della comparsa di diarrea in seguito all’assunzione di antibiotici. Il Clostridium o Clostridioides difficile si trova già nella flora batterica intestinale del 65% dei bambini sani e del 3% degli adulti sani. A volte, a causa di un tempo eccessivamente lungo di assunzione di antobiotici ad ampio spettro, la flora batterica ne risente. Così quella normale, sensibile agli antibiotici, muore e rimane solo quella resistente, composta appunto dal Clostridium difficile.
Ciò che preoccupa sono in particolare due ceppi di questo batterio, chiamati enterotossigeni, capaci di produrre enterotossina A ed enterossina B. La gravità dell’infezione può variare da diarrea prolungata a colite, perforazione dell’intestino, sepsi e morte. Tra i sintomi più comuni ci sono dolore, crampi addominali, nausea, febbre e disidratazione.
Il trapianto di flora batterica
La mortalità da Clostridium difficile, soprattutto nei pazienti anziani e fragili, è talmente importante da avere reso necessario un intervento. Cioè l’adozione di misure profilattiche per evitare la diffusione dell’infezione in ambito ospedaliero. Si stima che ogni anno negli Usa muoiano circa 29.000 persone per tale patologia, per una spesa complessiva di 5 miliardi di dollari all’anno.
La terapia antibiotica classica prevede di solito l’interruzione del farmaco ritenuto responsabile del C. difficile e l’inizio di una nuova terapia antibiotica. I farmaci usati sono metronidazolo, vancomicina o fidaxomicina, oltre ad un’importante reintegrazione dei sali persi.
La nuova possibilità di effettuare un trapianto di batteri cambia completamente i tempi e le possibilità di guarigione definitiva. “I nostri precedenti studi ne avevano già dimostrato la maggiore efficacia rispetto agli antibiotici. Sia nel curare le forme ricorrenti, sia per i quadri clinici gravi di infezione da C. difficile”, chiarisce Giovanni Cammarota – altro autore del lavoro- responsabile del Day Hospital di Gastroenterologia e Trapianto di Microbiota presso il Policlinico Gemelli.
“Tuttavia, si sapeva ancora poco circa l’utilità di tale metodica nel prevenire le complicanze legate all’infezione. Con questo studio abbiamo aggiunto un tassello importante a favore di tale procedura” conclude.