
Cellulari, Istisan conferma nessun rischio di cancro. Ma il dubbio rimane
Usare i cellulari non provoca tumore al cervello
In un momento storico in cui si parla di 5G ed effetti sulla salute, tra sostenitori e oppositori della nuova tecnologia, il Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche” sembra volere mettere la parola fine almeno su uno dei tanti capitoli. Susanna Lagorio, Laura Anglesio, Giovanni d’Amore, Carmela Marino e Maria Rosaria Scarfì, ricercatori italiani di diverse agenzie italiane (Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea) che hanno presentato lo studio, hanno confermato la sicurezza dei cellulari. Se non altro per quanto riguarda lo sviluppo di alcune neoplasie.
Secondo le evidenze epidemiologiche attuali non risulta nessun collegamento tra l’uso di cellulari e l’aumento di tumori nelle aree più esposte alle radiofrequenze. Questo relativamente alle chiamate vocali e prendendo in esame quasi un ventennio, 1999-2017. I rischi di cui si parla riguardano tumori maligni come i gliomi e tumori benigni come meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari.
La ricerca smentirebbe dunque la presa di posizione dell’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms. La stessa nel 2011 aveva confermato che i campi elettromagnetici del telefonino erano una possibile causa di tumori cerebrali. Al punto da consigliare l’uso di auricolari e invio di sms in attesa di nuove evidenze scientifiche.
Smentite dai ricercatori anche le osservazioni di alcuni studi caso-controllo. Non ci sarebbe un’incidenza di tumori cerebrali rapportata all’introduzione dei cellulari negli ultimi 30 anni.
Danni sui bambini, rimangono i dubbi
Se da una parte lo studio sembra voglia escludere il rapporto cellulari/cancro, dall’altra parte non offre garanzie sull’uso da parte dei bambini. Cosa che oltretutto i pediatri sconsigliano a priori. Di fatto, non esistono ancora dati e approfondimenti tali per cui si possa dire con certezza che non ci siano effetti a lungo termini. Soprattutto su chi ha imparato a tenere in mano questa tecnologia sin dai primi anni di vita e di una eventuale maggiore loro vulnerabilità.
Da dove arrivano le radiofrequenze
Antenne radiotelevisive, stazioni radio base, telefoni cellulari. Sono molte le sorgenti che emanano radiofrequenze, ma secondo i ricercatori l’intensità dei segnali è diminuita negli anni. Si legge “gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo.
L’intensità dei segnali trasmessi però è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali”. Inoltre, “la distanza da sorgenti fisse ambientali non è un buon indicatore del livello di RF all’interno di un’abitazione. Questo perché molte antenne sono direzionali e le RF sono schermate dalla struttura degli edifici e da altri ostacoli naturali”.
Per quanto riguarda gli impianti wi-fi invece, queste “hanno basse potenze e cicli di lavoro intermittenti cosicché, nelle case e nelle scuole in cui sono presenti, danno luogo a livelli di RF molto inferiori ai limiti ambientali vigenti”.
Quindi la maggior parte della dose quotidiana di RF deriva dal cellulare, visto anche l’enorme utilizzo che se ne fa. “L’efficienza della rete – continua il Rapporto – condiziona l’esposizione degli utenti perché la potenza di emissione del telefonino durante l’uso è tanto minore quanto migliore è la copertura fornita dalla stazione radio base più vicina. Inoltre, la potenza media per chiamata di un cellulare connesso ad una rete 3G o 4G (UMTS o LTE) è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato ad una rete 2G (GSM 900-1800 MHz)”.
Sulle future reti 5G, i ricercatori non si espongono troppo: “al momento non è possibile prevedere i livelli ambientali di RF associati allo sviluppo dell’Internet delle Cose (IOT); le emittenti aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente (beam-forming) comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti”.
La tesi ambientalista
A fare una riflessione sui dati del Rapporto ci pensa Marco Menghini, Stati Generali Ambiente e Salute della provincia pavese, Stop 5G Pavia e attivista WWF OA Lodigiano Pavese, incaricato 5G.
“È molto curioso constatare che gli esiti della ricerca promossa dall’Iss vengano divulgati proprio adesso. Mentre il Ministero dello Sviluppo è intento a colmare il gravissimo divario digitale che separerebbe l’Italia dal resto d’Europa. In particolare, puntando sulla tecnologia cosiddetta “5G”.
Tutto ciò mentre, a livello internazionale e nel nostro Paese migliaia di cittadini, invocano il rispetto delle leggi e chiedono semplicemente delle garanzie reali. Quindi evidenze scientifiche realmente attendibili. Oltretutto, per molto tempo vecchie e nuove tecnologie conviveranno. Così aumenterà la quantità di emissioni elettromagnetiche e di esposizione della popolazione”.
Per quanto riguarda le modalità di sperimentazione, Menghini dice”È interessante chiedersi chi svolge gli studi e chi li finanzia. Sul fronte tecnologico, si sa che le società di telecomunicazioni abbiano garantito cospicue sovvenzioni ad importanti università italiane per progetti di ricerca. Tutto pro 5G. È dunque implicita la necessità di affidarsi a centri di ricerca qualificati ed indipendenti”
Inoltre, “Il Governo, in ottemperanza agli obblighi costituzionali dovrebbe chiedere il parere sanitario agli enti preposti. Prima che ci siano emissioni di energia nell’ambiente.
Per questa ragione, l’Alleanza Italia Stop 5G che raggruppa associazioni, comitati e cittadini, invita tutti i sindaci ad adottare una moratoria. Questo per inibire l’installazione e l’impiego di queste tecnologie almeno fin tanto che non si abbiano sperimentazioni da parte di istituti indipendenti. In altre parole, chiediamo ai Sindaci di adottare il principio di precauzione che attua la legge quadro 36/2001 (art. 174, par. 2, trattato istitutivo dell’Unione Europea)”.
Sembra che i vari organi istituzionali del Governo abbiano usato la scusa di colmare i“gap” digitali dell’Italia per favorire i profitti delle compagnie telefoniche. Inoltre, dopo aver incassato 6,5 miliardi di euro dalla gara di assegnazione delle frequenze, si reimpiegano ingenti somme a supporto dello sviluppo della banda larga finanziando lo sviluppo di infrastrutture utili a tappezzare ogni angolo. Quindi, copertura garantita ad alta velocità senza preventivamente preoccuparsi di cosa questo possa realmente implicare”.