logo 1mela.it

1Mela.it > Malattie > Parkinson, tremori ridotti grazie alle onde sonore ad alta frequenza

Parkinson, tremori ridotti grazie alle onde sonore ad alta frequenza

I pazienti affetti da Parkinson potrebbero essere trattati efficacemente con gli ultrasuoni per ridurre i tremori. Uno studio condotto da scienziati italiani ha infatti mostrato una riduzione dei tremori del 95% sulle persone coinvolte.

I tremori tipici del Parkinson

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, che evolve in maniera lenta, ma progressiva.
Coinvolge principalmente le funzioni del movimento e del controllo dell’equilibrio ed è caratterizzata da una marcia lenta e instabile e tremori diffusi soprattutto alle mani, che diventano invalidanti per la persona.
La malattia colpisce entrambi i sessi, ma soprattutto gli uomini e ha un esordio intorno ai 60 anni, anche se vi sono casi di insorgenza in età giovanile.
La terapia è prevalentemente farmacologica o attraverso la stimolazione cerebrale profonda, una sorta di pacemaker che controlla gli stimoli all’interno del cervello.

Ultrasuoni per trattare i tremori da Parkinson

Uno studio condotto da un team di scienziati italiani ha messo in luce una riduzione dei tremori dovuti al Parkinson, grazie all’utilizzo di onde sonore.
Gli ultrasuoni, assolutamente indolore, sono in grado di colpire in modo mirato il cervello dei pazienti, riducendo l’effetto collaterale principale del Parkinson.
Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Università dell’Aquila, ha preso in esame 39 pazienti, con un’età media di 64,5 anni e tremori disabilitanti da almeno 10 anni, che non avevano risposto ai trattamenti precedenti.
I risultati hanno mostrato una riduzione dei tremori del 95% nei pazienti coinvolti dopo il trattamento con onde sonore ad alta frequenza. 37 pazienti su 39 ha avuto una riduzione significativa ed immediata dei tremori anche a lungo termine, e solo uno su 10, ovvero l’8%, ha presentato effetti collaterali nei sei mesi successivi.
Federico Bruno del Dipartimento di Scienze biotecnologiche e cliniche applicate dell’Università dell’Aquila ha spiegato che si tratta di un approccio mini-invasivo, che ha un minor rischio di complicanze rispetto alla stimolazione cerebrale profonda e ha un effetto immediato.
Inoltre, il trattamento con gli ultrasuoni permette un ricovero più breve, e la procedura è meglio tollerata, soprattutto dai pazienti fragili.
Il ricercatore ha affermato anche che “l’applicazione clinica di questa tecnica per malattie neurologiche rappresenta una novità assoluta, l’uso clinico è stato approvato dalla Food and Drug Administration meno di tre anni fa. Pochi pazienti conoscono questa opzione terapeutica e ci sono ancora pochi centri specializzati che possono offrirla”.

Autore /

Nata come interprete in ospedale, dove si è innamorata di tutto ciò che vedeva, diventa infermiera nel 2006. Prima in pronto soccorso e medicina d'urgenza, ora in rianimazione. Un master in area critica presso l'Università di Bologna e la laurea magistrale in Scienze Infermieristiche. Infermiera, moglie, mamma di una boxerina pelosa, ballerina a tempo perso. Profondamente innamorata della vita, e con tanta voglia di migliorare il mondo!